“Così semplice!” … ma ce ne accorgiamo sempre dopo.Il bambino invece nuota nel suo elemento, respira a pieni polmoni la semplicità, vive nell’innocenza dell’ora. Non ha nostalgia di quando tutto era semplice. La sua gioia non è un ricordo, ma ogni volta una nuova primavera di felicità. Non si può essere felici e saperlo; infatti se lo sappiamo non lo siamo, perché è sceso un velo tra la perfezione del gesto felice e la coscienza che lo scruta. Uno scrupolo, e la coscienza non è più innocente. Semplice come il pane e l’acqua, che in fondo non vogliono molto, anzi solo l’essenziale. Cosa sia l’essenziale è quanto i bambini sanno e chiedono a colpo sicuro, nient’altro che questo. Ma cosa, cosa? Il calore del pane che sazia la fame e il fresco dell’acqua che placa la sete. Perché per questo cittadino del paradiso la vita è amore della vita e godimento degli elementi: mangiare dormire, scaldarsi al sole… nient’altro. Innocenza dell’ora, senza preoccupazioni per domani, né accumulo, né ricchezza. Tutto il resto è di più e, venendo da altrove, satura, intasa, ingolfa, soffoca. Per noi invece il pane è lavoro e fatica. Un’opera che tuttavia non è il mio trionfo, ma il trionfo della condivisione del sudore sulla durezza della terra, e il trionfo dell’attesa. Attesa della pioggia invocata che l’uomo e i campi sopportano, e pazienza finché il grano maturi. Per questo il pane è sempre un pane spezzato e ci richiama a quanto è più semplice: che non l’uomo, ma gli uomini abitano il mondo e, tra la terra e il cielo, si spartiscono le pene e le gioie. Il pane e l’acqua testimoniano della gioia della povertà. Gioia della povertà? Sono parole scandalose. E’ vero, la povertà è una prova dura, il bisogno consuma la carne e la privazione rende gli uomini cattivi. Sulla bocca di chi confonde la povertà con la sobrietà l’invito alla povertà è un insulto e un’intollerabile presa in giro. Perché la scelta di ridursi al minimo vitale e di aspirare all’autosufficienza è ancora un idolo e il trionfo di sé sul bisogno. Ma la povertà non è scelta, e per questo il suo richiamo è duro e piega l’orgoglio: non bastiamo a noi stessi. Pane e acqua vengono sempre dall’altro e all’altro sono dovuti. Per questo, senza che se ne possano prevedere i tempi, vengono sempre dal cielo, perché ogni altro è un’altezza. Allora la semplicità non è più ingenuità, ma un compito e un dovere. Non è dietro di noi, come un sogno d’infanzia, ma davanti a noi come un’ingiunzione imperiosa di giustizia che ci impedisce di fare calcoli e di rifiutare il pane. E insieme un’innocenza da riconquistare, una promessa di felicità che portiamo nel cuore.