Selvatica Mente

Cos’è questo odore? E’così forte che mi ha svegliato. Il cuore batte forte e comincio a correre giù per la sponda del Lambro fino all’acqua, fino a bagnarmi i piedi. Devo stare attento a non farmi notare e mi nascondo, ora dietro un cespuglio, ora sotto un rovo o tra un gruppo di robinie. C’è gente in giro, incredula. Devo stare attento. Ho bagnato i piedi, ma non è acqua. E una cosa nera e appiccicosa, puzza. Ho visto le macchie di tutti i colori in questi anni, ogni tipo di schiuma, ma questo…questo mai. Mi sposto più a valle e le cose peggiorano. Ho le mani nere, ma cos’è? Il fiume è nero e denso e tutto è coperto. I germani sono fermi e inzuppati, col becco aperto in una smorfia di morte, senza voce. Parla germano, parlami e canta di nuovo le favole dell’acqua! Nulla. Lo prendo tra le mani e gli pulisco la testa…non ci vede più. Lo appoggio piano sulla riva. Col bastone muovo la melma sopra l’acqua e qualche pesce subito affiora boccheggiando. Mi dice di andarmene, di scappare dall’uomo. Non posso! Io sono il suo altro, la sua fantasia e la sua paura, lo sconosciuto. Se scappassi non avrebbe più nulla, sarebbe un automa buono solo per spaventarsi del suo stesso essere, buono per quella società cialtrona e becera. In tutti questi anni di bosco e di fiume ho imparato ad ascoltare l’anima degli altri, sono riuscito a farne parte. Gli animali, uomo compreso, sapevano che io vegliavo, che stendevo compromessi fra loro e la natura, fra loro e la loro paura. Ora la paura è più forte ed è diventata una e grande e sopra tutti. Non sono più in grado e mi sembra solo di fuggire, solo di nascondermi. Sono inutile. E allora…allora distruggetelo questo fiume, violentatelo pure ridendo della sua agonia, cancellatelo, toglietelo dalla vista e dalla fantasia. Giratevi e guardate da un’altra parte e lasciatelo gridare, in silenzio, inutilmente. Io lo sento gridare, tutte le notti. Sento i suoi animali e le piante.
Ora è stranamente silenzioso, morto e morti gli animali.
Da molti anni guardo l’uomo da lontano e fatico davvero a capirlo: calpesta la sua vita. Chi mai potrebbe avvelenare la sua stessa vita? Lui lo fa e poi si nasconde.
L’odore mi dà alla testa: mi fa male e mi gira, devo allontanarmi e risalgo il pendio per respirare. Devo spostare il mio capanno più a monte, più lontano, perché tra poco qui brulicherà di uomini disperati e piangenti e non potrò più nascondermi.
Forse, però, è ora che io non mi nasconda più.
Forse è meglio che io cammini in discesa verso il letto, del fiume e mio a respirare e bere il veleno delle vite disperse e annegare nella melma nera, prima che venga sera...


A.S.