Contributi culturali 2009

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PICCOLE IMPRESSIONI DI LABORATORIO E ED ANCOR PIÙ PICCOLE RIFLESSIONI, ALLA BUONA! di Aldo

A CASA DI ANTONIO ( il cubano)
“Uhei, geometra, come stai?”. Lui è seduto di fronte alla porta e a chi entra con la barba bianca, quasi immacolata, da bambino. Non l'ho mai visto senza il berretto. Di tutto un anno passato senza vederci non c'è traccia. Diversi bozzetti sono sul tavolo grande di legno ed intorno a questo altri visi conosciuti sono in attesa. Enrico passa i fogli come si passano le carte per la briscola, con la stessa naturalezza. Guardo Antonio seduto sul divano, fuma e sembra che guardi la televisione ma ho imparato a stargli vicino: proprio quando sembra distratto è il momento in cui filtra quello che ascolta e lo registra. A volte sembra che non ti veda nemmeno poi ti passa accanto e ti lascia cadere una parola vicino che è solo per te, unica e calda. E' un gatto. Conoscendo la mia passione per il toscano mi offre un cubano messo via nel sacchetto per non perderne l'aroma che rifiuto cortesemente in quanto non apprezzo i sigari. Mi dispiace, però. La sua è stata una attenzione particolare, per farmi stare a mio agio e per aprire di più la sua casa. Ci si sente bene con lui. “La Befana senza paura.” Questo è il tema del laboratorio di quest'anno. Difficile ma quanto mai centrato. La sensazione è che siamo defraudati anche della valenza positiva della paura da una sovraesposizione continua e mirata da parte dell'informazione e della società ai valori ormai normalmente mostrati e spesso ostentati come apparire, prevalere, superare, scavalcare, sfidare, vincere. Condizione necessaria di questa dinamica è l'operare affinché la paura svanisca e venga cassata, cancellata dalle menti sopratutto più giovani e assuma invece valenza di allarme e terrore, di tensione costante e incontrollabile . Che alla fine sia un mito dissolto. Una conseguenza potrebbe essere il crescere di generazioni che vedono annullate anche le paure istintive per merito e per mezzo di una parte della società onnipotente, onnipresente e padrona, quasi divina che attanaglia le menti attraverso la pseudo-protezione dall'allarme che essa stessa crea. La tensione sfocia poi nella aggressività madre della violenza e della fragilità. Quest'ultima diventa il filo conduttore delle esistenze e un'esistenza fragile è più facilmente controllabile; la violenza poi, si schiaccia semplicemente con altra violenza. Si apre una bottiglia di rosso e appaiono alcune fette di salame. Mason continua con le idee, le possibilità, chiede conferme. E' attento a ciò che viene detto come se fosse pronto a cogliere dalle idee come da un mazzo di fiori. Si accarezza la barba. Antonio sorride. Amo la confusione dei progetti iniziali che prendono successivamente una forma distinta. Acquarelli, disegni, voci, mani, vino, legno, amici, odori. Di nuovo tutto si fonde, di nuovo i confini si confondono, le idee camminano cambiano, volano e si trasformano. Violini e contrabbassi. Mi piace questa casa. Si ricomincia o forse non si era mai finito.

NOVEUNDICIDUEMILAOTTO (spaccalegna)
Il ponte di Agliate compare in fondo alla discesa, il Lambro è alto, torbido, pauroso. Scendiamo dall'automobile nel piazzale vicino al capannone, c'è già qualcuno. E' strano come possa accadere che dopo dieci mesi di lontananza da un luogo, quando ci ritorni, sembra di di averlo lasciato la sera prima. Una nascita a ritroso, un ritorno nel ventre. Respiro a fondo, ho bisogno di sentire gli odori. Legno e terra. Nel capannone tutto è fermo, cristallizzato. Mi ricorda il carro di Mangiafuoco con tutti i burattini appesi, in attesa. L'impressione è di ritrovare nella medesima posizione tutte le cose lasciate un anno fa. I luoghi, i posti cari ci attendono con pazienza, si fanno attraversare dai venti, coprire dalla neve violentare dai temporali ma rimangono lì, per noi. Nulla si fa oggi se non procurare il combustibile per le stufe nel laboratorio. E allora, spaccalegna! Spaccalegna e spaccapaura. Ogni colpo con la scure mi fa pensare a quel che resta dopo la paura. Il tronco spezzato e spezzato ancora salta ai lati del ceppo e rimane a terra inerte e non più compatto e duro. Le paure superate rimangono allo stesso modo. Le guardiamo increduli di averle temute e subite ed ora sono lì, come legna per la stufa, per dare calore, coraggio, per farci crescere. Io punto la scure e Giovanni picchia con la mazza, io punto lui picchia... Le paure molto spesso si sciolgono con l'aiuto degli altri. Che buon caldo vicino alla stufa!

CINQUE PASSI
Vivevo con la nonna mentre frequentavo l'asilo, nella grande casa sulle colline brianzole. Ricordo in quella casa un sottoscala lungo e buio ad angolo retto che era l'oggetto dei miei peggiori incubi. Partiva dalla lavanderia per finire chissà dove nelle viscere della montagna, o così a me sembrava. Passavo davanti a “lui” poche volte, il minor numero di volte possibile e forse meno ancora. Io ero piccolo e lui immenso e pauroso. Pieno di cose vecchie e strane come la balena di Pinocchio era in grado di risucchiare chiunque si soffermasse al suo imbocco. Davvero terribile! Di tutta la casa quello era un angolo a me oscuro. Ed oscuri erano i rumori di scorrere d'acqua, di tubazioni vibranti che vi sentivo spesso scuotere il buio. Una volta mi decisi ad entrare armato di un ridicolo lungo bastone che nemmeno si poteva muovere nell'angustia del luogo. Nel mio pensiero però, poteva con la sua lunghezza proteggermi di più da ciò che sicuramente mi sarebbe accaduto. Un passo...un altro e già la lampadina fioca della cantina non rischiarava più...un altro ancora, il cuore a mille e....una ragnatela mi si impiglia nei capelli...e un passo....e ancora uno...e poi un topo!! Attraversò il sottoscala per la lunghezza che riuscivo a vedere e mi passò tra i piedi. Mollai tutto, bastone e coraggio e volai fuori dal sottoscala, dalla cantina, dalla casa fino nel cortile dove passava la nonna Angela. “Nonna c'è un topo in cantina” nemmeno lo nominavo quel cunicolo” vieni, vieni di corsa!” Tradotto questo voleva dire “Vieni con me in quel maledetto sottoscala!” La nonna Angelina mi prese la mano. “Ven chi, nan” disse in dialetto. Vieni qui, caro. “Dove l'hai visto?” “Là, là nel sottoscala!” “ Bene, dovevo proprio cercare una cosa la dentro.” Eh, la nonna la sapeva lunga! Entrammo, lei davanti ed io come un cagnolino dietro. Era strano, ma la lampadina della cantina sembrava più luminosa. Del topo nemmeno l'ombra. La nonna credo facesse finta di cercare quella famosa “cosa”, che non trovò. Per dirla tutta, il topo non c'era mai stato. Era la mia paura che aveva la forma del topo. Cominciai nei giorni successivi a frequentare “l'ameno” luogo munito di una candela e lo trovai affascinante, colmo di cose dimenticate. Trovai anche uno sgabello mezzo ammuffito che pulii lo stesso pomeriggio e riportai nel sottoscala con uno scatolone che aggiustai come un tavolino. Misi la candela accesa sul tavolo mi sedetti e.....Io ero il topo!

SMS: QUANTI ARCHI HA IL PONTE DI AGLIATE? (la paura è un ponte)
Con tutte le volte che in questi anni ho guardato, attraversato, ammirato e vissuto il Ponte di Agliate, non ne ho mai contato gli archi. Che pirla! “Cinque archi, e ben tesi!” è la risposta. Anche questo sabato il Lambro è alto, limaccioso dopo le piogge abbondanti.
Di sotto gli archi
anche le fessure
tremano
i germani
si radunano

Mentre mi avvicino conto le arcate e il ponte mi appare come mezzo per superare un ostacolo. Per la prima volta colgo non più l'ovvietà ma la sostanza. Questa costruzione, come tante altre cose dentro me, non aveva superato il livello della banalità. Oggi, però, improvvisamentesi erge al rango di pilone centrale, di chiave di volta. Mi sembra che la figura stessa del ponte si adatti bene alla positività della paura. Forse per il primo albero caduto per caso appoggiatosi sul ciglio opposto di un fiume si sono aperti territori sconosciuti all'uomo. Forse il primo ponte naturale è servito per infrangere la paura di attraversare un torrente impetuoso, e questo passaggio ha aperto a nuove terre magari più accoglienti o fertili. La paura è il ponte ed il suo superamento il mezzo per crescere. Superare non è però sinonimo di cancellare. Se io supero una paura non significa che non ne abbia o che non ne avrò in futuro. Semplicemente ho percorso il “ponte”.

Se poi
ponti e fiumi
si confonderanno
per le nebbie
e venti e correnti
solo a tratti
ne rischiareranno
le sembianze,
aspetteremo inermi
di perire inconsci
figli del terrore
o saliremo sul carretto
dei girovaghi
a tentare la sorte
a costruire la vita?



IL CARRETTO (cartone e graffette)
Abbiamo cominciato la costruzione di un carro gitano o circense. Non ho ancora capito bene. Carro di zingari, giocolieri, girovaghi. Cosa accomuna? Qual'è il motivo che unisce? O è il carro il fulcro? Come al solito il bello è che le cose si capiscono in “corso d'opera”. I girovaghi per definizione non hanno dimora, lavoro fisso, non operano in modo stabile in un luogo, sfuggono quindi al concetto tutto nostro di sicurezza sociale ed economica. Proprio questo termine “sicurezza” così usato in questo periodo. è il chiavistello per aprire il lato oscuro delle paure umane. La mancanza di tale stato d'esistenza fa spavento come intimoriscono tutti coloro che la snobbano e scelgono viaggi diversi. I “vaganti”, quelli fuori dal controllo, sono proprio loro. Mentre incollo e graffetto, penso che si può essere gitani anche col pensiero e, forse, fa più paura ancora. Chi non è omologato è imprevedibile e come tale scardina le logiche comuni. Il mezzo per continuare oltre la paura è la conoscenza. Se conosco non temo e per conoscere devo affrontare. Se non affronto soccombo, divento vittima dell'ignoranza bagno di cottura per la paura. “Ma pensa che bello, salire tutti su 'sto carro e andare via...” chi parla è Sandro. Guardiamo insieme il carro ed abbiamo un bicchiere di vino rosso in mano. Non scappare, andare via. E non è lo stesso. Il carro può essere conoscenza, la sua stessa sostanza implica il viaggio, l'altrove, il diverso da, sottintende la rottura con la stabilità Oltrepassare l'incognito fuori e dentro, non averne paura, credo sia la soluzione che propone. Il carro è dissacrante e anti-dogmatico.

SABATONUVOLO (haiku del fiume)
premono il cielo
nere nuvole bigie
annusa il cane

scivola il fiume
sotto la pioggia trema
il topo e guarda

mosse le canne
sottovoce parlano
il pesce ascolta

il vento lascia
scosse le foglie gialle
vibra l’anima

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